L’ex Presidente sente sempre più vicina la nomination repubblicana con la conquista dello stato moderato dopo l’Iowa. Per Haley la corsa è tutt’altro che finita.
L’ex presidente Usa, Donald Trump, il 23 gennaio, dopo la vittoria schiacciante nei caucus dell’Iowa, vince di nuovo. Il suo trionfo nel New Hampshire, secondo appuntamento delle primarie per la nomination del partito Repubblicano, è stato chiaro poco dopo la chiusura delle urne. Dagli ultimi risultati (95% dei voti) emerge che Trump con 176,004 voti ossia il 54,3%, batte Nikki Haley, ex governatrice del South Carolina ed ex ambasciatrice alle Nazioni Unite, che si ferma al 43,2%, pari a 140,096 voti. Altri voti sono andati anche ad altri candidati tra cui Ron DeSantis che ha registrato, nonostante si sia ritirato, ben 2236 voti. In totale gli elettori sono stati 323,986.
Nell’ultimo sondaggio pre-elettorale dello Stato Trump era avanti di almeno venti punti. Alla fine sono stati undici. Non il trionfo, ma di certo una vittoria.
Nikki Haley
Haley, galvanizzata dal successo presso gli elettori moderati e persino del 6% di democratici che hanno preferito prendere parte alle primarie repubblicane, risultato ottenuto anche grazie all’appoggio del governatore repubblicano locale, Chris Sununu, è riluttante a gettare la spugna e vuole approfittare del vantaggio di giocare in casa al prossimo voto, il 24 febbraio, nella sua South Carolina. Non la pensa così Trump, che nel discorso della vittoria ha chiesto esplicitamente a Haley di fare un passo indietro. Un dato è certo: Haley non rappresenta una reale minaccia per l’ex presidente. Inoltre, emergono dati preoccupanti sulle ingenti risorse finanziarie che Haley avrebbe investito in Iowa e nel New Hampshire dove non ha brillato, con il rischio, di non averne a sufficienza per affrontare il resto della campagna. Infatti molti donatori si affrettano a saltare a bordo del treno di Trump.
In più, in South Carolina, lo Stato in cui Haley è stata governatrice, tutti i sondaggi danno in vantaggio Trump. Di conseguenza non va del tutto esclusa la possibilità, non certo remota, che Nikki Haley possa annunciare il ritiro prima delle primarie repubblicane dello Stato, il 24 febbraio.
Donald Trump
Trump è diventato il primo candidato repubblicano a vincere sia i caucus dell’Iowa che le primarie del New Hampshire dal lontano 1976. E chi ha vinto in entrambe le contese non ha mai perso la nomination. Inoltre Trump è riuscito in una impresa che fino a qualche mese fa sembrava molto difficile. È riuscito a battere Ron DeSantis e Nikki Haley rispettivamente in Iowa e New Hampshire, due Stati che per cultura politica e composizione dell’elettorato sembravano più favorevoli ai suoi avversari. Un risultato che ci si aspettava. Chi ha seguito i comizi di Trump in centri sportivi e teatri ha potuto notare molta più capienza e più gente presente rispetto alle sale delle scuole superiori, dei ristoranti e degli hotel che Haley ha scelto. I sostenitori hanno riempito i luoghi dove l’ex presidente stava parlando dopo aver aspettato per ore nonostante il freddo e la neve.
Ora il tycoon sente già sua la nomination, si prepara alla rivincita con Joe Biden nelle elezioni presidenziali del 5 novembre prossimo.
Analisi
Il voto del New Hampshire offre interessanti spunti di analisi delle dinamiche di queste primarie repubblicane.
Secondo la CNN, che ha analizzato i flussi elettorali del 23 gennaio, Trump vince:
- in tutti i gruppi sociali e demografici
- in ogni fascia di età
- tra gli uomini e le donne
- tra gli elettori bianchi e non bianchi
Conquista l’Iowa, uno degli Stati rurali del Midwest, ma anche il New Hampshire, uno Stato più moderato e urbano del nord-est con una tradizione più centrista, indipendente e meno ideologica.
Si aggiudica il voto della borghesia repubblicana e gran parte del voto religioso, evangelico.
Inoltre, con il 49 per cento di registrati e il 47 di indipendenti (visto che nelle primarie del New Hampshire essendo aperte votano anche i non registrati nelle liste del partito, i cosiddetti “undeclared”), la percentuale di registrati repubblicani e di indipendenti che hanno partecipato alla consultazione è praticamente uguale. Questa potrebbe essere una delle ragioni che ha portato alla sconfitta Haley. Ovviamente gli indipendenti sono andati a votare, almeno nella gran parte, Haley, mentre la quasi totalità dei registrati repubblicani hanno votato Trump. E quel voto dei repubblicani ha deciso la partita.
Trump ha potuto far leva in particolare sul cuore della base repubblicana a lui fedele, anzitutto bianca, con redditi inferiori, con minor livello di istruzione, e più rurale. Una base affascinata dal tycoon, sensibile ai suoi comizi populisti e nazionalisti, incentrati in particolare sul pessimismo economico e la lotta all’immigrazione. Una base avvolta da un sentimento di rinascita e imperterrita di fronte a tutti i tumulti e gli scandali del suo periodo alla Casa Bianca e della sua vita post-presidenziale.
Una base che ritiene Trump capace di ricostruire la più grande economia di sempre in grado di dare posti di lavoro ai neri, agli ispanici. Di propendere per la pace e non per la guerra. Di tenerli al sicuro a livello nazionale e internazionale, e di costruire il muro di confine. E di fermare tutta la droga che arriva attraverso il confine meridionale, perché questo è un grosso problema per la gente del New Hampshire.
Sulla vittoria di Trump non mancano analisti-detrattori che affermano che i risultati del New Hampshire hanno anche segnalato che Trump rischia di perdere un numero sufficiente di repubblicani, così come una quota sostanziale di elettori indipendenti, entrambi al di fuori del mondo MAGA, tanto da creare un problema per lui come candidato alle elezioni generali di novembre. A conferma di questa tesi ci sarebbe un sondaggio AP VoteCast tra gli elettori delle primarie secondo il quale il 21% dei repubblicani che hanno votato in New Hampshire sarebbe così insoddisfatto di Trump come candidato che non lo voterebbe a novembre. Allo stesso modo, il 20% di tutti i partecipanti al caucus dell’Iowa, tra cui il 15% dei repubblicani auto-identificati, ha dichiarato che sarebbe così insoddisfatto di Trump come candidato repubblicano che non voterebbe per lui a novembre.
Tali analisti-detrattori affermano, ancora, che i risultati del New Hampshire vanno interpretati diversamente, sottolineando che lo Stato, e i suoi indipendenti, propendono per la sinistra, e dal 2004 hanno votato i democratici in tutte le elezioni presidenziali. A conferma ci sarebbe il risultato dei sondaggi, secondo VoteCast di AP, in virtù del quale il 68% degli elettori indipendenti alle primarie del Partito Repubblicano del New Hampshire, non voterebbe per Trump a novembre se fosse lui il candidato.
Tali osservazioni acquistano importanza laddove si ritiene che gli elettori indipendenti siano la chiave per le elezioni presidenziali.
È bene precisare che gli elettori indipendenti eviterebbero Trump a causa della sua posizione e di quella del suo partito su questioni chiave. Tali elettori sono preoccupati per la violenza politica, come la rivolta del Campidoglio da parte dei sostenitori di Trump il 6 gennaio 2021, e si oppongono ai divieti nazionali di aborto promossi dai repubblicani.
Il prossimo appuntamento è in Nevada, dove Haley non è registrata nei caucus, i caucus che eleggeranno i delegati alla convention repubblicana, ma nelle primarie, votando nelle urne, che in quello stato sono vietate dal partito. Trump, quindi, prenderà il 100% dei delegati. Poi arriverà il South Carolina, lo stato natale dell’ex governatrice Haley, ma dove Trump è in netto vantaggio nei sondaggi e ha il sostegno dell’apparato del partito e della stragrande maggioranza dei suoi leader locali. Il percorso di Haley è tutto in salita.
Molti degli stati più grandi voteranno il 5 marzo, nel cosiddetto super tuesday. Le primarie si concluderanno il 4 giugno, mentre la convention che esprimerà il candidato si terrà a luglio a Milwaukee, in Wisconsin. Per vincere bisogna raccogliere almeno 1.234 delegati.
Per consultare il calendario delle primarie repubblicane e seguire il conteggio dei delegati clicca qui
Il 5 novembre 2024, alle elezioni presidenziali ci saranno probabilmente a sfidarsi ancora Trump e Biden. Né i repubblicani né i democratici sembrano intenzionati a rottamare le loro ‘vecchie glorie’. Il segnale è evidente: c’è una significativa difficoltà di rinnovamento della classe politica ma anche di una società statunitense irrimediabilmente polarizzata.
Joe Biden
Biden, a differenza di quattro anni fa, è ampiamente antipatico e la maggior parte degli americani disapprova il suo operato. Intanto i suoi 81 anni, quattro in più di Trump, creano profondo scetticismo. Sta lottando per mantenere coesi gli elettori che lo ha portato alla Casa Bianca, ma non sembra facile. Le sue politiche sull’immigrazione e sul clima, insieme al sostegno a Israele nella sua guerra a Gaza, stanno intaccando il suo sostegno tra i giovani elettori, gli elettori neri, i latinos e i liberali. Mentre per accaparrarsi il sostegno degli indipendenti e dei repubblicani moderati sta mettendo al centro della sua agenda le questioni come i diritti all’aborto e la democrazia.
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