La mappa del mondo non è più disegnata in blocchi ideologici ma è divisa in parti fondate su civiltà (o culture) ostili le une con le altre
[Articolo pubblicato in data 03/09/2014 su ilcosmopolitico.it]
Le macabre decapitazioni pubbliche per mano di un miliziano jihadista dell’Isis, probabilmente di nazionalità inglese, dei due giornalisti americani, prima del cattolico James Foley, e qualche giorno fa dell’ebreo affascinato dall’Islam Steven Sotloff, riaccendono i riflettori sulla delicata e sempre più difficile coabitazione delle tre fedi della “culla della civiltà”, e dunque sull’identità collettiva e sui rapporti tra religioni e culture. Colpisce la ferocia dell’Isis, ma non è più nobile uccidere sparando missili. L’unica differenza è che nel secondo caso non si vede la strage, nel primo, invece, la testa mozzata fa orrore.
Nel centenario della prima guerra mondiale, la guerra per quanto tecnologica e sofisticata sia diventata, resta orrenda con il suo strascico di morte, di dolore e di distruzione.
La spettacolarizzazione delle due esecuzioni ha adirato il presidente degli Sati Uniti, Barack Obama, che ha detto ”Non ci faremo intimidire e faremo ”giustizia” e poi “Il nostro obiettivo è quello di smantellare lo Stato islamico in modo che non sia una minaccia per l’Iraq, per il Medio Oriente e per gli Stati Uniti“, e il premier britannico David Cameron dal canto suo ha detto “Non cederemo mai al terrorismo” confermando la strategia britannica contro lo Stato Islamico, con l’ipotesi di raid aerei contro le basi dell’Isis. Inoltre, Barack Obama intende creare una partnership con la Nato per combattere l’Isis e altre organizzazioni terroristiche, oltre a puntare sull’Estonia come posto ideale per aprire una base per la marina.
A titolo esemplificativo il gruppo jihadista Isis dello Stato Islamico è cresciuto sotto l’egidia di Al Qaeda con cui ha interrotto i legami nel 2013. L’obiettivo del gruppo è realizzare un unico califfato islamico che riunisca le regioni a maggioranza sunnita di Siria e Iraq. Guidato da Abu Bakr al-Baghdadi, si stima possa contare su circa 30mila miliziani alcuni dei quali provenienti dai territori fuori dal Medio Oriente, anche europei e americani. L’Isis è un totalitarismo del petrolio, che non si accontenta di accamparsi tra i due fiumi, del Tigri ed Eufrate, o all’incrocio assiro-babilonese, ma punta al Mediterraneo e spunta dai tunnel della Striscia.
Un mondo pieno di guerre
Lo scenario appena abbozzato che tanto clamore mediatico sta suscitando non fosse altro per lo spettacolo di crudeltà a cui è legato, è solo una delle tante guerre che si consumano quotidianamente. Nello scacchiere mondiale ci sono 63 punti caldi, ossia 63 Stati sparsi tra Africa, Asia, Europa, Medio Oriente, e Americhe coinvolti nelle guerre. I media europei sono concentrati in particolare su pochi conflitti (Iraq, Israele, Siria e Ucraina), lasciando cadere un velo di silenzio sugli altri conflitti altrettanto degni di nota.
In tale clima di gravi crisi internazionale sul piano geopolitico, nella quale non può mancare il pensiero di Papa Francesco che parla di una terza guerra mondiale che viviamo a pezzi, si ripropone la questione dello scontro – e del confronto – di civiltà e di religione. La questione, molto dibattuta tra i politologi, parte dall’assunto che la mappa del mondo non è più disegnata in blocchi ideologici come è avvenuto o come si è fatto credere fino alla caduta del Muro di Berlino durante la guerra fredda, ma è divisa in blocchi fondati su civiltà (o culture) ostili le une con le altre. E anche se non esistono dei confini netti all’interno di tali blocchi di civiltà, perché “mondo occidentale”, “mondo ortodosso” e “mondo islamico” sono molto divise al loro interno, pensiamo a quest’ultimo diviso tra moderati e fondamentalisti, ogni volta che si accende un focolaio di guerra che coinvolge due Stati o due partiti nello stesso Stato, scatta quel senso di appartenenza alla propria civiltà innervata ad un credo religioso, un pensiero, una cultura ben definite che determinano la volontà precisa di intervenire nello scontro. A parte le guerre civili e i conflitti interni alle civiltà, per il resto lo scontro di civiltà trova conferma in tanti altri conflitti. Pensiamo ad esempio all’11 settembre 2001 in cui tutto il mondo occidentale si è sentito “americano” perché ha avvertito la paura del terrorismo islamico di Osama Bin Laden, alle proteste arabe contro vere o presunte “offese” occidentali estrinsecate attraverso le vignette e un video amatoriale sul profeta Maometto, all’attuale crisi in Ucraina in cui la Russia di Putin con il suo orgoglio anti-Occidentale si considera come un blocco contrapposto.
E come si fa a dimenticare che l’Islam – che pure è tutt’altro che un monolite, essendo rappresentato da differenti obbedienze e da ancor più numerose interpretazioni, anche in funzione localistica – è sempre stato l’antagonista principale della civiltà cristiana, e continua ad esserlo anche in questi nostri tempi di secolarizzazione. Non è facile accettare, per chi ad esempio rivendica l’orgoglio dell’appartenenza ad una civiltà millenaria come quella cristiana, l’infibulazione (propria di certo islam africano), la lapidazione delle adultere (contemplata dalla Sharia) o il velo islamico nelle scuole. Considerazione che va fatta ovviamente al contrario per le altre civiltà. Ogni civiltà ritiene probabilmente di possedere la verità, ma il pericolo maggiore sta nel fatto che all’interno di una civiltà qualcuno possa aver smesso di cercarla.
Nei casi in cui lo scontro di civiltà sfocia in una guerra, allora c’è un conflitto non più fra ideologie, ma fra identità culturali, e si combatte per vincere o morire, e si uccide perché si è occidentali, islamici, ortodossi, o altro.
Occorre un dialogo fecondo interreligioso, che sta alla base di tute le questioni politiche aperte. Papa Francesco può e deve svolgere tale ruolo strategico. E a lui che è stato proposto qualche giorno or sono dall’ ex presidente della Repubblica di Israele, Shimon Peres, premio Nobel per la Pace nel 1994, di creare un’ONU delle religioni, ossia un’ Organizzazione delle Religioni Unite dotato di una Carta delle Religioni. A riprova di quanto il tema dello scontro di civiltà e di religione sia significativo e strategico per gli equilibri geopolitici mediorientali e mondiali.
Evitare lo scontro di civiltà? Complesso rispondere. Soluzioni prospettate dai politologi: tante. Un punto fermo resta il dialogo e la comunicazione tra gli esseri umani. E al di là di tutto, oggi bisogna fare i conti con la globalizzazione e la rete che hanno reso inutili le frontiere, quelle per cui spesso si combatte, e hanno ridisegnato un mondo in continua accelerazione, in cui nessun problema, per quanto appaia secondario, è risolvibile al di fuori della solidarietà tra le nazioni.
Di fronte alla storia che corre, l’auspicio migliore è che lo spirito, che anima e forma il pensiero politico, non accumuli troppo ritardo.
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