I ribelli yemeniti sciiti Houthi, sostenuti dall’Iran e alleati di Hamas, e strenui difensori della causa Palestina, con i loro attacchi “pirateschi” alle navi mercantili, e non solo, nel Mar Rosso, stanno minacciano i traffici marittimi globali. Traffici che solo sulla rotta di Suez che collega il Mediterraneo rappresentano l’11% – 12% del commercio navale mondiale, per un valore di 1,2 trilioni di dollari l’anno. Conseguenze? Scelta obbligata per le navi cargo dell’assai più lunga rotta africana, a picco i traffici navali, ritardi, costi maggiorati e prezzi che potrebbero salire fino al 10%; porti italiani in difficoltà; rischio per l’Europa anche per il settore degli approvvigionamenti energetici.
Usa e Gran Bretagna reagiscono con la creazione dell’Operazione Prospery Guardian, mentre per Ue possibile istituzione dell’operazione Aspides con il comando assegnato all’Italia.
Gli Houthi, forti di un’esperienza accumulata negli anni della dimenticata guerra civile nello Yemen, si sono imposti all’attenzione del mondo, mostrandosi di fatto una potenza regionale munita di un arsenale relativamente ampio (fornito dall’Iran) e favorita dalla posizione geografica a guardia dello stretto di Bab El Mandeb.
- Gli Houthi attaccano le navi mercantili nel Mar Rosso
- Bāb el-Mandeb, il terzo “chokepoint” globale
- L’importanza del traffico del canale Suez
- Conseguenze? Fuga dalla rotta di Suez e aumenti dei costi attraverso rotta africana
- I prezzi salgono: la reazione delle aziende
- Crisi dei porti italiani
- L’Occidente reagisce: Operazione “Prospery Guardian” a guida USA
- Le divisioni internazionali
- Operazione europea “Aspides”: l’Italia al comando
- Chi sono gli Houthi
- Gli Houthi non arretrano
- Cosa vogliono gli Houthi?
- Cosa potrebbe succedere adesso?
Gli Houthi attaccano le navi mercantili nel Mar Rosso
La crisi del Mar Rosso è iniziata il 19 ottobre 2023, in piena guerra tra Israele-Hamas, allorquando gli Houthi, i ribelli yemeniti, alleati con il gruppo militare Hamas, in risposta all’offensiva di terra israeliana 2023 della Striscia di Gaza, sferrano una serie di attacchi con missili e droni contro il sud di Israele e contro cargo commerciali da e per lo Stato di Israele e navi da guerra lungo la nevralgica rotta del Mar Rosso, a ridosso dello stretto di Bāb el-Mandeb. I ripetuti attacchi alle navi se pure militarmente inefficaci, sono riusciti sotto il profilo dell’intimidazione. E se possono sembrare di primo acchito crimini di pirateria, in realtà non lo sono perché posti in essere per finalità politiche e non per lucro.
La prima azione degli Houthi è stata l’arrembaggio per via aerea della Galaxy Leader, una nave cargo battente bandiera delle Bahamas e in viaggio per conto della società giapponese Nippon Yusen, dalla Turchia all’India, ma di proprietà della società israeliana Galaxy Maritime. Da lì in poi si è registrato un crescendo esponenziale di raid volti a seminare panico e insicurezza sulla rotta di Suez.
Fin dallo scoppio della guerra Israele-Hamas il 7 ottobre 2023, gli Houthi hanno espresso pieno sostegno alla causa della Palestina e annunciato di voler entrare in tale conflitto. In che modo? Minacciando di attaccare militarmente Israele, e attaccando tutte le navi dirette verso Israele, senza risparmiare Washington minacciandola di intensificare gli attacchi, se avesse costruito una task force.
Poiché gli Houthi hanno da anni il pieno sostegno dall’Iran, con grande probabilità le loro azioni sono pianificate di comune accordo con gli ayatollah iraniani e le milizie palestinesi.
I missili lanciati dallo Yemen di fatto hanno aperto per Israele un altro fronte che si aggiunge a quello già infiammato al nord di Israele al confine con il Libano dove arrivano attacchi dagli Hezbollah, i miliziani sciiti filo-iraniani.
Le informazioni sul passaggio delle navi prese di mira dagli sciiti yemeniti, sono fornite, secondo gli Stati Uniti, da imbarcazioni iraniane che stazionano nella zona. Le navi assaltate sono quelle che battono bandiera di Paesi considerate legate a Israele, e che percorrono la rotta, nel Mar Rosso, che dai porti industriali asiatici (primo fra tutti Shangai) conduce ai porti in Europa.
L’esperto di logistica della University of Bradford, Gokcay Balci, afferma che più di duecento navi hanno dichiarato incidenti, e circa 180 vascelli sono stati costretti a cambiare rotta, anche se nessuna nave è stata affondata ne sono state riportate vittime.
Navi militari Usa e Gran Bretagna fin da subito hanno raggiunto la zona e tentato di intercettare i missili degli Houthi, e poi di colpire i punti di lancio nel loro territorio. Mentre Israele, sotto attacco, è riuscita a intercettare droni e missili lanciati dagli Houthi, grazie al sistema di difesa missilistica Arrow e alla sua Aeronautica.
Bāb el-Mandeb il terzo “chokepoint” globale
Gli attacchi degli Houthi, si sono concentrati nello stretto di Bāb el-Mandeb detto anche Porta delle lacrime” per le pericolose condizioni di navigazione – che congiunge il Mar Rosso con il Golfo di Aden e quindi con l’Oceano Indiano. Nel punto più stretto il Bāb el-Mandeb ha una larghezza complessiva di circa 30 km e separa lo Yemen da Gibuti.
In altre parole è la porta che dall’Oceano Indiano conduce al Canale di Suez tramite il Mar Rosso, e quindi dà accesso al Mar Mediterraneo. È una strozzatura geografica in cui passano le navi proveniente da tutto il mondo. È un passaggio che fa risparmiare molto tempo e permette di abbattere i costi, rispetto alla rotta decisamente più lunga in cui si deve circumnavigare l’Africa. Bāb el-Mandeb è il terzo “choke point” delle rotte internazionali, e dunque uno dei più importanti a livello globale insieme agli Stretti di Hormuz e Malacca.
L’importanza del traffico del canale Suez
Da Suez passa l’11%-12% del commercio navale mondiale (idrocarburi, materie prime e prodotti finiti), per un valore di 1,2 trilioni di dollari l’anno, per quantità di beni totalizzante fra 900 milioni e 1,2 miliardi di tonnellate l’anno.
Passa qui: il 12% del petrolio commercializzato via mare, l’8% del commercio mondiale di gas naturale liquefatto, l’8% del commercio mondiale di cereali e il 30% dei container merci.
Nell’intero 2022 sono passate da Suez 23.583 navi, in aumento rispetto agli anni precedenti, registrando un record giornaliero che si è avuto il 6 agosto 2022, quando in 24 ore si sono contate 89 navi, per un totale di 5,2 milioni di tonnellate (secondo il presidente dell’Autorità del Canale, l’egiziano Osama Rabie).
Conseguenze? Fuga dalla rotta di Suez e aumenti dei costi attraverso rotta africana
Fra il 14 e il 16 dicembre, ben 4 compagnie, veri giganti del trasporto marittimo: la francese CMA CGM, la danese Maersk, la tedesca Hapag-Lloyd e l’italo-svizzera Mediterranean Shipping Company (MSC), di fronte agli attacchi incessanti, in uno stretto di mare largo appena 30 chilometri, tra lo Yemen e il Gibuti, hanno annunciato di voler interrompere i propri transiti nel Mar Rosso e di convertire le loro rotte. Non più dal Mar Rosso e dal Golfo di Aden per passare attraverso il Canale di Suez, ma scegliendo invece di attraversare il Capo di Buona Speranza in Sudafrica e quindi circumnavigando l’Africa per spostare i carichi verso l’Europa dal Golfo Persico e dal Mar Rosso. Subito dopo, è stata la volta di tre armatori colossi della navigazione commerciale dell’Estremo Oriente, la taiwanese Evergreen e le cinesi COSCO e OOC. La compagnia cinese COSCO, ha avuto una maggiore difficoltà per il suo ipotetico ruolo da “cavallo di Troia” della Marina cinese nel conquistare nuovi punti di appoggio logistici nei maggiori porti del mondo. Nel mentre anche la compagnia petrolifera britannica British Petroleum ha imposto lo stop alle sue petroliere, inviandole sulla rotta del Capo di Buona Speranza.
La rotta africana comporta un viaggio mediamente più lungo di due settimane e di oltre 6000 km da percorrere in più per raggiungere l’Europa. Se prendiamo ad esempio la rotta Singapore-Rotterdam, è, nel caso della scorciatoia dal Sinai, di 15.500 km, mentre se costretta a passare dal Capo di Buona Speranza, risulta essere di 21.700 km, ossia del 40% più lunga.
Di conseguenza, la rotta africana, comporta non solo ritardi, ma un consumo di carburante supplementare, aumenti alle stelle di tariffe di trasporto e delle polizze di assicurazione e un aumento di emissioni di anidride carbonica tra il 20% e il 35%.
Secondo una stima della compagnia energetica, S&P Global Commodity Insights, passando dalla rotta africana, il costo del carico potrebbe aumentare di almeno il 10%.
Mentre secondo l’ISPI, il costo per inviare un container “tipo” da Shanghai a Genova è passato da 1.400 a 5.200 dollari.
A proposito di container, già subito dopo i primi attacchi degli Houthi, il numero dei container trasportati in nave sul Mar Rosso è crollato. Dagli oltre 500.000 giornalieri registrati lo scorso novembre, secondo il think tank Ifw, Kiel Institute for the World Economy, sarebbero crollati a circa 200.000 container al giorno.
E, in ultima analisi, la rotta africana mette a repentaglio anche la circolazione di cibo (e dunque la sua distribuzione nel mondo), di carburante e assistenza umanitaria in tutto il mondo.
Ciò dimostra quanto la protezione dei trasporti marittimi, ora per il Mar Rosso, e domani per gli stretti Stretti di Hormuz e Malacca, rimarrà sempre una delle bussole strategiche più importanti anche in futuro.
I prezzi salgono: la reazione delle aziende
I cambiamenti nelle rotte commerciali Asia-Europa a seguito della crisi del Mar Rosso, oltre a impattare negativamente sui prezzi, hanno scatenato varie reazioni specie nelle grandi aziende.
Ikea ha già annunciato che se l’interruzione delle spedizioni dovesse continuare, le forniture di prodotti potrebbero subire ritardi.
Tesla e Volvo stanno interrompendo a tratti le loro produzioni negli stabilimenti europei dove la consegna di parti asiatiche, come le scatole di cambio, stanno arrivando in ritardo.
Anche l’industria alimentare risente fortemente della crisi in atto. La rotta africana, oltre ad aver creato un sensibile aumento dei costi di trasporto con innegabili ripercussioni sui prezzi finali, sta creando effetti disastrosi per i prodotti deperibili come frutta e verdura.
E ripercussioni ci sono anche sulle esportazioni europee con i Paesi dell’Asia.
La situazione che sta mettendo in ginocchio diversi settori, sembra, almeno per ora, non intaccare quello petrolifero (Medio Oriente: regione chiave per il greggio per produzione, raffinazione e commercializzazione del greggio) che sembra reggere il colpo. Almeno per ora, niente rischio shock petrolifero.
I prezzi potrebbero aumentare fino al 10%, la chiamano la “tassa Mar Rosso” che va dall’elettronica, all’alimentare, dalla moda, all’arredo, fino alla componentistica auto. Insomma riguarda tutti i prodotti che arrivano in Europa dall’Asia.
Crisi dei porti italiani
La crisi del Mar Rosso si sta ripercuotendo anche sui porti italiani, quattro in particolare: Genova, Gioia Tauro, La Spezia e Trieste, dove da dicembre 2023 non arrivano più navi portacontainer. Mentre il porto di Venezia rischia di essere tagliato fuori dal traffico tra Oriente e Europa. Più tranquilla sembra la situazione a Civitavecchia.
L’Italia sembra particolarmente esposta, essendo calcolato che attraverso il Canale di Suez è passato (nel 2023) il 40 per cento dell’import ed export italiano, con un valore stimato di 154 miliardi di euro secondo il rapporto divulgato il 7 gennaio dagli studi SRM legato al gruppo bancario Intesa Sanpaolo.
Da fonti di governo si legge: “La rotta atlantica per i porti italiani alternativa al Mar Rosso richiede tempi di transito superiori di circa 14 giorni rispetto alle rotte tradizionali…i giorni di ritardo inciderebbero sulla ri-programmazione dell’impiego delle navi e quindi sugli arrivi e le partenze anche da e per i porti italiani”.
“Le navi che oggi attraversano il Canale di Suez sono circa 250 rispetto alle 400 di prima del peggioramento della situazione nel Mar Rosso”, sottolinea Tajani, ministro degli Esteri italiano. Se la crisi dovesse durare “le compagnie di navigazione potrebbero rinunciare a entrare nel Mediterraneo optando per i porti in Nord-Europa» spiegano i report del governo italiano. Un riassetto delle rotte commerciali in direzione di Rotterdam che avrà un impatto devastante sui porti italiani, «riducendone la centralità del Mediterraneo nella rotta commerciale che collega l’Asia all’Europa e agli Stati Uniti.”
L’Occidente reagisce: Operazione “Prospery Guardian” a guida USA
Di fronte al blocco delle rotte e in risposta agli attacchi Houthi alle navi nel Mar Rosso e per scongiurare a ogni costo l’allargamento del conflitto nella regione, il 18 dicembre, gli Usa annunciano l’operazione Prosperity Guardian, un’operazione militare guidata da una coalizione marittima multinazionale formata da 10 nazioni per garantire la sicurezza della navigazione alle navi in transito nel Mar Rosso, sotto l’egida dell’esistente Task Force 153 delle Forze Marittime Combinate.
Nella coalizione internazionale sono coinvolte: Usa, Bahrein, Canada, Danimarca, Grecia, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito, Sri Lanka, e Seychelles.
I Paesi arabi – tranne il Bahrein – hanno per ora tutti rifiutato di partecipare all’operazione Prosperity Guardian.
Con gli Stati Uniti che hanno offerto un fermo sostegno a Israele durante la guerra, molti Stati sono profondamente esitanti ad aderire a un’iniziativa che può essere interpretata come una presa di posizione di parte nel conflitto. Ciò è particolarmente vero per gli Stati del Medio Oriente e del Nord Africa che godono di un ampio sostegno pubblico per la Palestina e per i Paesi europei con un significativo elettorato pro-palestinese.
Poi ci sono Paesi come la Spagna che si è chiamata fuori dall’operazione, oscillando tra il rifiuto di una condanna degli Houthi in nome di politiche pro-Palestina ed il sostegno ad una missione militari coordinate dalla NATO o dall’UE.
Anche l’Italia e la Francia, come la Spagna, si sono smarcati da Prosperity Guardian – per la volontà di procedere parallelamente agli USA, per i timori di ritorsioni contro navi commerciali, per ingenti risorse militari e costi economici che la missione avrebbe comportato – e hanno scelto di inviare navi nella regione – la Virginio Fasan della classe FREMM, una fregata della Marina Militare italiana, e la Languedoc della classe FREMM una fregata della Francia -, che pur sostenendo le operazioni di sicurezza alla navigazione nel Mar Rosso, opereranno al di fuori della struttura di comando dell’operazione a guida americana.
Se da un lato questi dispiegamenti possono contribuire al successo finale di Prosperity Guardian, dall’altro dimostrano che anche alcuni alleati stretti esitano a unirsi pubblicamente allo sforzo degli Stati Uniti.
Gli Usa, per evitare che la forza multinazionale fosse costituita solo da Paesi occidentali, volevano che entrassero nella task force i paesi arabi. Così non è stato a parte il Bahrein. Le monarchie non partecipano soprattutto per ridurre il rischio di ritorsioni. Tuttavia l’Arabia Saudita è l’unico Paese arabo che potrebbe mediare con gli Houthi con cui è in conflitto nello Yemen dal 2015. Riad, a parte una tregua in corso, sta cercando un disperato accordo di pace con i ribelli yemeniti per porre fine alla guerra civile e al contempo ha avviato un processo di normalizzazione dei rapporti con l’Iran per via degli Accordi di Abramo.
La Cina, che non accetta un mondo unipolare a guida americana, non poteva di certo far parte di un’unità militare gestita e diretta da Washinton.
La Cina, preoccupata in generale per le sue linee commerciali legate alla Nuova Via della Seta, che non possono essere totalmente compensate dalle direttrici via terra lungo l’Eurasia e dalla rotta del Nord lungo le coste della Russia. Con grande probabilità potrebbe spingere Teheran a controllare maggiormente l’attività degli Huthi.
Anche l’India non ha aderito a Prosperity Guardian pur se sta rafforzando la presenza navale nel Mar Arabico, anche in chiave antipirateria.
Il segnale lanciato dall’operazione Prosperity Guardian è stato colto positivamente da alcuni armatori. Il 24 dicembre, il gigante danese dei trasporti marittimi Maersk Line, pochi giorni dopo l’arrivo delle prime navi americane nella zona, ha annunciato la sua intenzione di riprendere alcuni trasporti attraverso il Mar Rosso, mentre altre aziende, come la francese CMA CGM, hanno iniziato un cauto ritorno.
La prima vera azione militare dell’operazione Prosperity Guardian avviene il 9 gennaio 2024 fra coalizione internazionale e Houthi. Una pioggia di droni lanciati dalla costa viene neutralizzata dalla nave da guerra britannica HMS Diamond.
La prima azione offensiva dell’operazione Prosperity Guardian, avviene l’11 gennaio quando navi da guerra anglo-americane sparano contro obiettivi Houthi sulla costa del territorio yemenita. Gli attacchi proseguono nei giorni seguenti.
Se Prosperity Guardian riuscirà a garantire la fiducia commerciale nella rotta, e dunque la libertà di navigazione e il transito sicuro nel Golfo di Aden e nel Mar Rosso, potrebbe avere successo, anche se, la riluttanza dei principali alleati degli Usa, mette a dura prova la sostenibilità dell’operazione.
Le divisioni internazionali
Il 10 gennaio il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione (la 2722), con l’astensione di Russia e Cina, in cui si invitava gli Houthi a cessare immediatamente gli attacchi e rilasciare il Galaxy Leader, la nave cargo sequestrata con il suo equipaggio dal 19 novembre 2023.
La Russia, in sede di dichiarazioni di voto, ha accusato gli Stati Uniti di voler utilizzare la risoluzione per legittimare le azioni della Prospery Guardian, la missione navale difensiva a guida USA. La Cina pur chiedendo agli Houthi di fermare gli attacchi alla navigazione, ha tacciato la risoluzione di ambiguità, sottolineando che il testo così concepito avrebbe potuto provocare nuove escalation.
Operazione europea “Aspides”: l’Italia al comando
Nei piani Ue c’è l’ipotesi che si fa sempre più concreta, del lancio di una vera e propria missione militare navale europea chiamata Aspides, che in greco significa “Protettore”, sviluppata da Italia, Francia e Germania, la quale prevede anche l’utilizzo della forza militare, se necessario, per proteggere le navi mercantili nel Mar Rosso e preservare il commercio internazionale minacciato dagli attacchi degli Houthi.
Tale missione non è nuova in quanto già nel 2020 era stata proposta dalla Francia per protegger i flussi marittimi attraverso lo Stretto di Hormuz, e poi estesa successivamente al Golfo Persico, occasione in cui gli stati regionali arabi hanno dimostrato una grande livello di cooperazione.
Tale successo è un modello che si intende replicare con la missione Aspides, che a differenza dell’operazione Prosperity Guardian avviata da Usa e Gran Bretagna, avrà solo uno scopo difensivo.
Al comando della missione Aspides, che dovrà essere approvata il 19 febbraio dai ministri degli Esteri dell’Ue, ci sarà l’Italia.
Il 2 febbraio, l’UE ha chiesto all’Italia di fornire l’Ufficiale ammiraglio che guiderà la missione Aspides, creata per garantire la libera navigazione in Mar Rosso. Con un appunto di non poco conto: la missione navale dovrebbe essere “puramente difensiva“, il che significa che non ci saranno attacchi a terra contro gli Houthi.
Chi sono gli Houthi
Gli Houthi, sono un gruppo militare islamista filo-sciita (di confessione zaidita) dello Yemen, conosciuti anche come “Partigiani di Dio”. Anche se organizzati fin dal 1994, sono attivi dal 2014 nella guerra civile in Yemen. Hanno il controllo dello Yemen occidentale, e si sono ormai insediati nella capitale Sana’a’.
Così come Hamas, sono affiliati all’asse politico internazionale guidato da Teheran, contro gli Usa, Israele e Arabia Saudita.
Hanno il sostegno e sono finanziati dal governo dell’Iran sin dal 2014. E secondo un documento delle Nazioni Unite elaborato nel 2018, gli Houthi avrebbero il sostegno e risorse anche dai governi della Corea del Nord e della Siria.
Le armi utilizzate dagli Houthi, che provengono principalmente dall’Iran, vista la loro gittata che è in grado di raggiungere Israele dallo Yemen, costituiscono una vera minaccia sia per il popolo israeliano che per le navi in passaggio nel Mar Rosso. Le principali armi sono:
- Missili da crociera della famiglia iraniana Soumar (gittata di circa 2 000 km)
- Toophan: un missile di superficie (gittata di circa 1 800 km)
- Missile Quds-2 (gittata di circa 1 350 km)
- Droni Wa’id: simili agli Shahed 136, i droni Kamikaze (gittata di circa 2 500 km)
- Droni Samad-3 e Samad-4 (gittata di circa 1 800 km)
Guerra civile in Yemen. Nel gennaio 2015 gli Houthi mettono in atto un colpo di stato a Sana’a. La confinante Arabia Saudita decide di intervenire, e, alla guida di una coalizione militare araba, gli dichiara guerra. I sauditi si erano illusi di poter ottenere una vittoria lampo, ma gli Houthi, grazie ai massicci e sistematici aiuti militari dell’Iran, trasformano lo scontro in una guerra di logoramento.
Dal 2016, gli Houthi, colpiscono diverse città (Jizan, Gedda, e la capitale Ryadh), ma anche raffinerie e oleodotti con missili, droni, imbarcazioni-drone, mine galleggianti. E lo fanno con una tale determinazione ed efficacia tanto che i sauditi decidono nel 2022 di cambiare strategia, aprendo un negoziato e accettare una tregua, consentendo agli Houthi di insediarsi a Sana’a’, capitale dello Yemen. In questa interminabile guerra gli Houthi sono cresciuti militarmente e da guerriglieri-ribelli locali si sono trasformati in attori reginali ovviamente filoiraniani capaci di attacchi sofisticati.
Gli Houthi, per anni dimenticati dal mondo e considerati attori solo nello scacchiere della guerra civile dello Yemen, hanno fatto un passo di qualità sull’onda dei ripetuti attacchi alle navi in questi mesi, imponendosi all’attenzione del mondo. Hanno saputo capitalizzare la loro posizione geografica a guardia dello stretto di Bāb el-Mandeb, grazie anche all’intreccio con l’Iran che li ha introdotti in un gioco geopolitico molto più ampio della loro agenda “locale”. Oggi, infatti, gli Houthi hanno acquisito un credito militare e diplomatico e si mostrano di fatto una potenza regionale munita di un arsenale relativamente ampio con cui il commercio navale mondiale, e non solo, deve fare i conti.
Gli Houthi non arretrano
Gli Houthi seppure facciano parte dell’asse filo-Iran, sono autonomi e cercano di raggiungere i loro obiettivi: elevare il loro status nella costellazione regionale filo-Teheran; rafforzare il sostegno interno e reclutamento; spostare l’attenzione dei fallimenti del loro governo; cercare di diventare capofila della causa palestinese, ma anche antiisraeliana e antiUSA; acquisire una maggiore forza di negoziazione con l’Arabia Saudita. Per tutti questi obiettivi sarà difficile che gli Houthi, molto più pericoli e agguerriti degli Hezbollah in Libano e delle Forze di Mobilitazione Popolare in Iraq, rispetto ai quali vivono perennemente in un contesto di guerra, che fermino le loro azioni nel Mar Rosso anche di fronte alle iniziative militari che l’Occidente sta mettendo in atto.
Cosa vogliono gli Houthi?
Gli Houthi, con i loro attacchi contro le imbarcazioni in transito nel Mar Rosso, oltre a esprimere solidarietà nei confronti dei palestinesi, stano intimando a Israele di interrompere l’assedio contro Gaza e di mettere pressione al contempo sui sostenitori occidentali dello Stato ebraico. Senza escludere la possibilità di apparire come gli unici attori della galassia anti-Israele.
L’azione degli Houthi è un’azione mirata e politica, che si inquadra in un gigantesco fenomeno mondiale di riposizionamento degli equilibri. La pirateria Houthi è contemporanea a molte cose. Come il ricollocamento delle flotte statunitensi nei mari del Mondo, il riarmo della flotta cinese, le nuove alleanze anti-Pechino fra Gran Bretagna, Stati Uniti e Australia nel Pacifico, e all’apertura di nuove rotte commerciali nel Mar Artico.
Cosa potrebbe succedere adesso?
Nel caso gli Houthi non fermassero gli attacchi, gli USA e la loro coalizione “potrebbero decidere di neutralizzare alcune posizioni dei ribelli anche se non è un facile colpirli tra le colline dello Yemen, è quanto afferma Chris Doyle, direttore del Counci for British-Arab Understanding.
Gli Houthi sono stati capaci di lanciare missili in Arabia Saudita, come negli Emirati Arabi. Dunque sono estremamente pericolosi. Non fare nulla, significherebbe lasciarli fare, oltre che mettere a rischio una tratta importante come quella del Mar Rosso.
Gli Houthi hanno dichiarato che questi attacchi continueranno finché Israele non fermerà le operazioni a Gaza.
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