Aleksej Navalny, l’anti-zar, è morto a 47 anni, da eroe, in un “gulag”, per aver osato sfidare e criticare Vladimir Putin accusandolo di essere a capo di un regime di “ladri e corrotti”.
Un omicidio politico della carismatica nemesi di Putin, che cancella ogni speranza di cambiamento in Russia.
Il suo video su You Tube: “Il palazzo di Putin: La storia della più grande tangente del mondo” fa tremare la Russia e il suo dittatore.
Chi era davvero Aleksej Navalny, che ha sacrificato la sua vita per denunciare la corruzione del sistema politico russo, per difendere il pluralismo politico, l’opposizione, e per garantire elezioni libere ed eque in Russia?
La morte di Aleksej Navalny
Aleksej Navalny (in russo Алексе́й Анато́льевич Нава́льный), 47 anni, attivista, politico e blogger, cristiano ortodosso russo, il principale oppositore di Vladimir Putin, è morto il 16 febbraio, in circostanze misteriose, nella colonia penale IK-3 (nota come “Lupo polare”) nell’Artico russo, nota per le sue dure condizioni di detenzione, in sostanza un “gulag”, dove era stato trasferito lo scorso dicembre per scontare una pena di oltre 30 anni (nel complesso) per “attività estremiste”.
Il centro di reclusione, si trova a Kharp, nella freddissima regione autonoma di Yamalo-Nenetsk, a quasi 2 mila km da Mosca. La città è vicino a Vorkuta, luogo di reclusione del regime di Stalin, le cui miniere di carbone erano tra le più dure nel sistema di gulag sovietici.
Navalny si sarebbe sentito male al termine dell’ora d’aria nella famigerata colonia penale. Avrebbe accusato un malore perdendo conoscenza quasi immediatamente. Inutili i tentativi di rianimarlo. È quanto annunciato dai servizi penitenziari russi. Una prima ipotesi parlava di una trombosi, ma dal Cremlino, che respinge con fermezza le accuse mosse dall’Occidente su una sua responsabilità giudicandoli inaccettabili, dicono che non conoscono le cause e bisognerà attendere i risultati di una inchiesta. La madre di Navalny, appena appresa alla notizia, su Facebook scrive di non poter riuscire a credere che il figlio sia morto. Lo aveva visto solo pochi giorni fa in carcere affermando che stava bene.
Il mistero regna sovrano e, con grande probabilità, la morte del dissidente Navalny, che rappresentava anche dietro le sbarre una minaccia, fa parte della lunga scia di terrore attraverso una repressione brutale, tra carcere, esilio ed omicidi, messa in atto da Putin, da quando è salito al potere nel 2000, contro gli oppositori politici, giornalisti e dissidenti (come avvenne con Anna Politkovskaja o Boris Nemtsov) i cosiddetti “spiriti liberi”, che hanno osato sfidare e criticato il suo regime autoritario, e verso i quali non c’è stata nessuna pietà o compromesso. Il messaggio dell’ennesima morte è chiaro: chi coltiva la speranza di un’alternativa al regime di Putin deve sapere che non rischia di venire incarcerato, ma addirittura di essere ucciso. Quindi la morte di Navalny consegna il Paese alla paura. Trasforma l’autoritarismo in totalitarismo.
Nel 2020 Navalny aveva rischiato di morire in seguito ad un avvelenamento avvenuto tramite l’agente nervino Novichok per mano di agenti dell’FSB, i servizi di sicurezza interni della Russia. Piuttosto che in esilio, dopo essere stato curato in Germania, aveva deciso, in nome della libertà e della democrazia, di tornare in Russia per continuare la sua battaglia contro il regime di Putin, pur sapendo che sarebbe stato arrestato e avrebbe seriamente rischiato di essere vittima della repressione del regime. Insomma con il ritorno in Russia il suo destino era segnato.
La notizia della morte di Navalny è esplosa come una bomba nelle maggiori cancellerie del mondo. C’è stata una condanna immediata dagli Usa, NATO, UE, tranne che per alcuni ex o attuali alleati di Putin, come il leader ungherese Viktor Orban. Il segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, chiede un’inchiesta indipendente e trasparente sulla morte di Navalny. Anche se va detto chiaramente che la morte improvvisa di un detenuto politico in una colonia penale, è sempre un omicidio la cui responsabilità ricade su Putin e le autorità nel loro insieme, dunque sull’intero sistema russo che evidentemente non tollera alcuna forma di democrazia.
Per il Cremlino, infatti, nessuno scossone, solo la conferma che Putin non si ferma davanti a niente. I dissidenti vanno spezzati. E lo stesso Putin ne uscirà impunito così come è avvenuto nel passato o nel recente passato con l’ammutinamento e poi la morte di Prigozhin, capo del gruppo mercenario Wagner.
Molti analisti vedono però la morte di Navalny come un sintomo di debolezza del regime russo, per altri invece paradossalmente dimostra la sua forza.
Resta di fatto che la morte di Navalny è avvenuta in un momento importante per Putin. Esattamente un mese prima delle elezioni presidenziali russe 2024 dove Putin, nonostante i risultati plebiscitari che avrà, e nonostante il clima di terrore che semina sistematicamente, non voleva alcun elemento di destabilizzazione, anche solo potenziale, proveniente dalla remota Siberia, del retropensiero del popolo russo per quando andrà a votare. Inoltre la morte di Navalny è arrivata anche a nove mesi dalle elezioni presidenziali Usa che potrebbero riportare Donald Trump alla Casa Bianca, con possibili vantaggi geopolitici per il Cremlino.
Proteste in Russia
Manifestazioni di protesta in tutta la Russia si sono registrate nelle ore successive alla notizia. Manifestazioni represse sul nascere da una agguerrita polizia.
Molti sostenitori di Navalny, che considerano la sua morte un omicidio politico, in questi giorni sono scesi in piazza in 39 città russe per commemorarlo, portando fiori e cantando canzoni. Le manifestazioni sono state represse sul nascere da un’agguerrita polizia. Ci sono stati 400 arresti, di cui solo 200 a San Pietroburgo, che con i suoi 5 milioni di abitanti è una delle più grandi metropoli russe. In realtà, considerata la popolazione totale di 140 milioni di persone, va osservato che i numeri delle persone che hanno protestato nelle piazze sono esigui, a dimostrazione di quanta poca opposizione abbia il governo di Putin da un lato, e dall’altro, di quanto terrore viene imposto dalle autorità del Cremlino alla popolazione. Anche ai media e ai parlamentari russi è stato vietato, in merito alla morte di Navalny, di dare informazioni diverse da quelle fornite dal governo.
Le accuse
L’ex deputato dell’opposizione Dmitrij Gudkov, circa la morte di Navalny, parla di un omicidio organizzato dal presidente Putin, precisando sui social network che se anche Aleksej fosse morto per cause ‘naturali’, queste sarebbero le conseguenze del suo avvelenamento e poi della tortura in carcere.
Anche l’ex campione del mondo di scacchi Garry Kasparov, oppositore di Putin, punta il dito contro il presidente russo come unico responsabile, affermando sul social network X (ex Twitter) che se non è riuscito a uccidere Navalny in modo rapido e segreto, facendolo avvelenare, lo ha fatto pubblicamente lentamente e pubblicamente in carcere. Kasparov precisa inoltre che Navalnyj è stato ucciso per aver smascherato Putin e la sua mafia.
La vedova Yulia Navalnaya
La vedova del dissidente Navalny, Yulia Navalnaya, porterà avanti la battaglia contro Putin e il suo regime. In un video-appello ha gridato al mondo: “Alexeij è morto in una colonia carceraria dopo tre anni di tormenti e torture. Vladimir Putin ha ucciso mio marito. E nell’uccidere Aleksei, ha ucciso metà di me, metà del mio cuore, metà della mia anima. Ma ho ancora l’altra metà e questa mi dice che non ho alcun diritto di mollare. Continuerò l’opera di Aleksei Navalny, continuerò a lottare per il nostro Paese”.
Dal suo messaggio non è chiaro se abbia intenzione di tornare in Russia o meno per continuare la sua lotta contro Putin. Sembra improbabile che possa rimpatriare senza gravi conseguenze. L’alternativa sarebbe quella di rimare in esilio e continuare dall’estero la battaglia contro Putin. E comunque è quasi impossibile che il suo appello nella Russia di oggi, dove regna un clima di terrore, e deporre semplicemente fiori per rendere omaggio a Navalny alimenta dei fermi della polizia, possa mobilitare il popolo russo.
Ipotesi di morte
A distanza di pochi giorni dalla scomparsa di Navalny, che avrebbe compiuto 48 anni a giugno, sono emerse le prime ipotesi sulle cause e le circostanze del decesso.
Secondo Yulia Natavalnaya, contrariamente a quando affermato dalle autorità carcerarie che fanno riferimento ad una trombosi, il marito sarebbe stato avvelenato con il Novichok, lo stesso agente nervino che gli agenti dell’Fsb (l’erede del Kgb) usarono nell’agosto del 2020.
Il sospetto è avvalorato dal rifiuto delle autorità russe, dopo quattro giorni dal decesso, di far vedere il corpo di Navalny alla madre e ai suoi legali, forse perché si attendeva che il Novichok, l’agente nervino illegale, non lasciasse alcuna traccia sul corpo.
Secondo altre ricostruzioni, che hanno trovato spazio sui media internazionali, il dissidente sarebbe stato ucciso con un pugno all’altezza del cuore, dopo essere stato lasciato al gelo per oltre due ore e mezzo in un cortile, una sorta di cella senza tetto. Quel giorno la temperatura è scesa anche sotto i trenta gradi. È una vecchia tecnica, la quale non lascia tracce, e che veniva usata dagli agenti speciali del KGB. Per uccidere bastano pochi secondi, un colpo secco e unico allo sterno a distanza di 20 centimetri, in un momento in cui, per via del freddo, il muscolo cardiaco si indebolisce e la circolazione rallenta al massimo. Basta essere addestrati. E Navalny non sarebbe il primo a morire così dentro le mura dell’IK-3. L’assassino sarebbe stato preparato giorni prima con la complicità delle autorità di Mosca.
I lividi trovati sul corpo di Navalny sarebbero compatibili con la tecnica del “pugno unico” oltre alla presenza di altri indizi quali la visita al penitenziario due giorni prima dell’accaduto di agenti della FSB, i servizi russi, e la messa fuori uso delle telecamere di sorveglianza e di tutti i dispositivi di ascolto durante la morte del dissidente.
Per ora le cause e le circostanze del decesso, che non sono confermate né smentite, restano un mistero. In più i risultati dell’autopsia potrebbero essere falsati visto che non vengono condotti alla presenza di un perito di parte
Da qualche giorno è spuntata la tesi del capo dell’intelligence militare ucraina Kyrylo Budanov, secondo il quale il dissidente russo Alexei Navalny è morto per un’embolia, ossia per un coagulo di sangue, quindi si tratta di una morte naturale. Tale tesi conformerebbe la tesi iniziale delle autorità russe che hanno fatto riferimento ad un’embolia e poi a una trombosi.
Il corpo di Navalny, a oltre una settimana dalla morte e dopo una lunga battaglia, è stato finalmente consegnato alla madre, Lyudmila, che qualche giorno prima era stata chiamata a riconoscere il corpo di suo figlio all’obitorio dell’ospedale distrettuale di Salekhard, in Siberia, dove era conservato. Una madre battagliera che pur di riavere il corpo di suo figlio aveva fatto un appello allo stesso presidente Putin. I funerali potrebbero essere pubblici, come vuole la famiglia, o svolgersi in segreto, come chiedevano le autorità le quali temono che un addio pubblico all’oppositore, che per anni ha sfidato Putin, potrebbe alimentare manifestazioni di protesta.
Nel mentre, il team di Navalny ha promesso una ricompensa di centomila euro ai membri delle forze di sicurezza che decidessero di fornire informazioni sulle modalità della morte.
Il VIDEO-INCHIESTA: “Il palazzo di Putin: La storia della più grande tangente del mondo”
Navalny, nel 2021, poco prima di salire a bordo dell’aereo che lo avrebbe riportato in Russia, pubblicò su YouTube un filmato dal titolo “Putin’s Palace: The Story of the World’s Largest Bribe” (“Il palazzo di Putin: La storia della più grande tangente del mondo”) della durata di quasi due ore, un vero e proprio reportage investigativo. Il video di Navalny, che aveva realizzato servendosi di riprese con il drone, visualizzazioni in 3D e testimonianze di operai edili, raccontava la storia di una mega villa da 1,3 miliardi di dollari sul Mar Nero contenente ogni sorta di lusso: una pista di hockey, un eliporto, un bar per il narghilè, allevamento di ostriche, un vigneto, una chiesa. Il reportage investigativo descriveva oltre agli esorbitanti costi, anche le vie finanziarie illecite che avevano consentito la costruzione del palazzo. E cosa più eclatante è che il palazzo era stato costruito per conto del vero proprietario, il presidente della Federazione russa, Vladimir Putin. Il tutto narrato con grande maestria e professionalità hollywoodiana, e con uno stile umoristico capace di rendere divertente anche i fatti aridi della cleptocrazia.
Il testo dell’indagine “Il palazzo di Putin” con tutti i documenti si trova qui
Secondo l’istituto sociologico Levada Center, il 55% dei russi hanno fiducia nell’indagine sul palazzo segreto di Putin.
Un mese dopo la sua pubblicazione, il video era stato visto già da un russo su quattro. E con il passare del tempo – tre anni – il video è stato visualizzato ben oltre 130 milioni di volte, raggiungendo così la gente con la verità. È proprio questa capacità di Navalny di penetrare la nebbia della propaganda, che ha contribuito al suo successo politico, faceva paura a Putin. Capacità e successo che gli sono costati la vita.
Navalny avrebbe potuto raccontare la verità anche all’estero come fanno tanti esuli russi che continuano a indagare sulla corruzione russa e a dire la verità ai russi, ma ha preferito farlo all’interno della Russia, pur sapendo che sarebbe stato arrestato al suo rientro nel 2021, come in effetti è avvenuto. Ha dimostrato così ai suoi connazionali un coraggio civico che è quasi raro in quel Paese. Diametralmente opposta è la visione di Putin che, annientando tutti gli anti-zar, mostra ai russi che il coraggio nel suo regime è inutile.
Quando a dicembre scorso Navalny era stato trasferito in questa prigione artica per impedirgli di comunicare con la sua famiglia e gli amici, era chiaro che faceva ancora tanta paura a Putin pur essendo dietro alle sbarre.
Tuttavia Navalny riusciva a inviare segretamente messaggi anche dalla prigione, attraverso i suoi avvocati, guardie e poliziotti, in una modalità non molto dissimile da quello adottata dai prigionieri dei Gulag nell’Unione Sovietica di Stalin.
Chi era davvero Aleksej Navalny, il più temuto oppositore di Vladimir Putin?
È stato fra i più noti oppositori del presidente della Russia, Vladimir Putin. Era a capo del partito Russia e Futuro presidente di Coalizione Democratica (che unisce Russia del Futuro, RPR-Parnas e Scelta Civica), formazione in precedenza co-presieduta con Boris Nemcov assassinato nel febbraio 2015. È stato fondatore della Fondazione Anti-corruzione (FBK). Di posizioni nazionaliste e liberali, Navalny si è dichiarato favorevole alla legalizzazione dei matrimoni omosessuali nel Paese.
Navalny, il beniamino degli ultimi e il profeta di una nuova era, dove si sarebbe dovuto respirare democrazia, è stato un avvocato, un politico, un blogger che, pur di mostrare ai russi e a tutto il mondo il nervo scoperto del nuovo zar, fatto di menzogne, ladrocinio e corruzione, aveva deciso di pagare qualsiasi prezzo politico e perfino mettere in pericolo la sua stessa vita. Figlio di un ufficiale dell’Armata Rossa, laureato in legge nel 1998 all’ateneo moscovita Rudn, Università dell’Amicizia fra i Popoli, Navalny mostra già da giovane la sua grande passione per la politica. La sua è una gioventù immersa nel Far West seguito al crollo dell’Urss, i cosiddetti “selvaggi anni Novanta”, alla fine dei quali aderisce, muovendo così i primi passi in politica, al partito liberale Jabloko di Grigory Yavlinski, del quale fra il 2004 e il 2007 diventa uno dei rappresentanti più in vista nell’area moscovita. La sua militanza nel partito però sarà breve. Nel 2007 verrà espulso a causa della sua graduale attrazione al nazionalismo russo che lo porta a partecipare nel 2006 (e negli anni successivi) alla marcia russa, la Russkij Marsh (Marcia Russa), la tradizionale parata di matrice neonazista e xenofoba. Quando nel 2006 il comune di Mosca vietò il corteo annuale Russkij marš, Navalny chiese come dirigente di Jabloko che la manifestazione venisse autorizzata nel rispetto del diritto costituzionale. Continuerà comunque a frequentare ogni anno le marce, fino al novembre 2011, dove figura anche tra gli organizzatori.
Nel 2007 fonda il movimento politico patriottico chiamato Narod (Popolo), dai connotati nazionalisti, che aveva come priorità la tematica dell’immigrazione.
Il movimento Narod venne criticato per le sue posizioni xenofobe, come quando, in un video dell’organizzazione, lo stesso Navalny paragonava i musulmani del Caucaso, scuri di pelle, a degli scarafaggi che andavano eliminati. In un altro video, Navalny sembra sostenere l’idea di una pulizia etnica nonviolenta tramite la deportazione. Mentre scorrono degli spezzoni di video di lavoratori immigrati, Navalny, vestito da dentista dice allo schermo: “Nessuno dovrebbe essere picchiato. Tutto ciò che ci infastidisce dovrebbe essere accuratamente, ma inflessibilmente eliminato mediante la deportazione… Un dente senza radice è considerato morto. Un nazionalista è colui che non vuole che la radice “russa” venga cancellata dalla parola “Russia”. Abbiamo il diritto di essere russi in Russia e proteggeremo questo diritto […] Pensa al futuro, diventa un nazionalista“.
Nel 2008 il partito Narod si allea con due partiti nazionalisti e xenofobi, quali il DPNI (Movimento contro l’emigrazione illegale) e Velikaja Rossija (Grande Russia) per formare il Russkoje nacional’noe dviženie (Movimento Nazionale Russo), del quale Navalny fu co-presidente.
Tali nazionalismi, compreso quello di Navalny, chiedono la restaurazione della supremazia russa a differenza del nazionalismo di Vladimir Putin che invece, considerando la fine dell’Unione Sovietica “la più grande catastrofe geopolitica del Novecento”, vuole recuperarne l’eredità complessiva, e dunque anche l’ambizione imperiale e il carattere multietnico.
Navalny appoggia l’intervento militare russo del 2008 in Georgia, insultando i cittadini georgiani, appellandoli come “roditori” e chiedendo che fossero tutti espulsi da Mosca e dalla Federazione.
È contrario a nutrire il Caucaso aderendo alla campagna “Stop Feeding the Caucasus” per chiedere la fine dei sussidi federali alle repubbliche caucasiche della Federazione Russa. Un linguaggio sprezzante di dichiarazioni razziste e discriminatorie verso i popoli del Caucaso e dell’Asia centrale (contro i quali nella popolazione russa esistono forme di razzismo ben radicate) che, con il passare degli anni e i contatti continui con l’Occidente, Navalny modererà o non utilizzerà più, senza per questo rinunciare alle idee del suo nazionalismo.
Si disse a favore dei diritti degli omosessuali, approfondì il pensiero democratico e condannò l’imperialismo zarista di Putin. Nel 2022 condannò l’invasione dell’Ucraina mentre la tv di stato russa lo indicava come un pericoloso estremista.
Nel 2008 Navalny inizia la sua attività di blogger e attivista anticorruzione. Acquista piccoli pacchetti azionari di grandi società russe, così da poter esercitare il diritto all’informazione degli azionisti e ottenere prove di condotte dubbie da parte dei dirigenti, per poi pubblicare i risultati delle sue indagini sul suo blog che diventa poco dopo molto popolare. In breve le sue indagini si espandono anche sui politici e sul governo, con un focus sul presidente russo Vladimir Putin.
Nel 2010 viene selezionato dalla Università di Yale per il programma annuale Yale World Fellows, rivolto a circa venti leader emergenti provenienti da tutto il mondo.
Nello stesso anno Navalny, nella consapevolezza di rappresentare milioni di cittadini che vogliono una vita migliore in Russia, inizia una lotta senza quartiere alla corruzione dell’élite putiniana che diventa il tema centrale del suo populismo che nel frattempo ha assunto anche un carattere carismatico. Una corruzione che dilaga e solo apparentemente scalfita (anzi rilanciata) dalle azioni pubbliche intraprese da Putin contro gli oligarchi. In effetti i vecchi oligarchi – quegli uomini d’affari che si erano arricchiti negli anni novanta acquistando a prezzi stracciati le aziende pubbliche sovietiche all’indomani della dissoluzione dell’URSS, nel 1991, per poi rivenderle una volta smembrate – vengono sostituiti da nuovi oligarchi (come Abramovich, Usmanov, Rotenberg) creati dallo stesso Putin, tra cui figurano anche molti ex suoi colleghi ai tempi in cui era membro del KGB, il servizio segreto sovietico. Tra Putin e i nuovi oligarchi, che non fanno parte né del governo e né delle istituzioni, si viene a stabilire un rapporto di affari interdipendente: loro dipendono da lui, e lui dipende da loro. Gli oligarchi garantiscono a Putin stabilità e fedeltà, e lo influenzano anche nelle sue scelte politiche, e Putin permette loro di espandere i propri affari e proprietà (anche se dopo le sanzioni imposte dall’Occidente per l’invasione dell’Ucraina di Putin, che ha serie ripercussioni sui loro patrimoni detenuti in particolare all’estero, la loro fedeltà sembra scricchiolare). Non solo. Lo stesso Putin, da oltre vent’anni di potere, si è arricchito tantissimo.
Di fronte a questa dilagante corruzione dell’élite putiniana, che caratterizza la Russia, Navalny, in veste di blogger, inizia attraverso il suo Live Journal a denunciare (con prove, nomi e cognomi) ruberie di denaro pubblico, tangenti e mazzette, come quando accusa, citando un rapporto della Camera dei conti, la società statale russa Transneft di appropriazione indebita di 4 miliardi di dollari di denaro pubblico durante la realizzazione dell’oleodotto tra la Siberia orientale e l’Oceano Pacifico. Il suo blog diventa popolarissimo, e nel 2010 apre il sito RosPil.net che raccoglie informazioni su evidenti violazioni all’interno del sistema degli appalti statali con la finalità di denunciare la corruzione in Russia, smascherando irregolarità, violazioni dolose e trucchi illegali. Tutto grazie al lavoro di un gruppo di giovani giuristi che setacciano centinaia di documenti. E attraverso un apposito sito web, invita chiunque sia a conoscenza di episodi di corruzione a denunciare l’accaduto. Le informazioni vengono valutate e se verificate, viene sporta denuncia presso le autorità giudiziarie. Grazie a donazioni online vengono finanziate le spese legali. Tutti i visitatori del sito possono controllare in tempo reale su quali casi stanno lavorando gli avvocati di RosPil.
Navalny inizia ad avere una fama in Russia quasi quanto quella del fondatore di WikiLeaks Julian Assange, rappresentando una nuova generazione di attivisti politici che sferrano colpi al sistema nelle parti vulnerabili. Gli economisti di spicco Sergey Guriyev e Oleg Tsyvinsky, hanno stimato, facendo leva sulle rivelazioni di Navalny, che se la Russia riuscisse a ridurre la corruzione fermando i furti all’interno del sistema degli appalti statali, il paese potrebbe addirittura raddoppiare il suo tasso di crescita economica annuale.
Navalny, consolida nel frattempo – siamo nel 2011 – il suo ruolo di oppositore politico. Organizza, a partire da quell’anno, contro la corruzione dei politici e contro Putin, numerose manifestazioni di protesta e fonda il Partito del Progresso insieme a un altro blogger anche lui attivista politico, Leonid Volkov.
Nel 2014, il Partito del Progresso, insieme a RPR-PARNAS di Boris Nemzov, è l’unico a opporsi all’annessione della Crimea.
Nel 2012, Navalny ha aperto un sondaggio sul suo blog, dove è stato chiesto, a proposito del partito di Putin, di rispondere alla domanda “Russia Unita è un partito di ladri e truffatori?“. Al sondaggio hanno preso parte quasi 40mila persone e il 96,6% di loro ha risposto “sì lo è.
Alle elezioni parlamentari in Russia del 2011, non solo consiglia di votare per qualsiasi partito, contro Russia Unita, ma il giorno dopo Navalny prende parte a una manifestazione organizzata dal movimento dell’opposizione chiamato “Solidarietà” su Chistoprudny Boulevard. Lo scopo della manifestazione era di mettere in dubbio i risultati delle elezioni e accusare le autorità di brogli elettorali su larga scala. Alla fine dell’evento è stato arrestato dalla polizia dopo aver preso parte a una marcia non autorizzata verso l’edificio della Commissione elettorale centrale della Russia sulla Lubjanka.
Nel marzo 2012, Navalny, si mette alla guida di una manifestazione con 30 000 persone contro Putin appena eletto presidente. Lo fa a Mosca in piazza Puškinskaja. Dopo la manifestazione, Navalny è stato trattenuto dalle autorità per diverse ore, poi rilasciato.
Dunque tra il 2011 e il 2012 Navalny si unisce alle proteste di piazza che coinvolgono centinaia di migliaia di persone soprattutto a Mosca e San Pietroburgo, organizzate dall’opposizione russa contro i risultati delle elezioni, da quelle locali a quelle presidenziali di quegli anni, che ritenevano fossero falsate a favore di Vladimir Putin. In tali manifestazioni Navalny diventa la figura più popolare, il vero leader dell’opposizione in Russia, per questo su di lui si concentrarono le minacce e le azioni repressive del regime.
Putin mise in atto una dura repressione con migliaia di arresti, tra cui lo stesso Navalny. Boris Nemtsov, altro dissidente di piazza al fianco di Navalny, già vice primo ministro ai tempi del presidente Boris Eltsin, viene ucciso nel 2015 a pochi passi dal Cremlino, in circostanze misteriose. I sospetti sul mandante portano a Putin.
Poi a partire dal 2013 organizza l’opposizione o si candida in diverse elezioni indette in Russia (candidatura sindaco di Mosca nel 2013, le presidenziali del 2018, quelle per il consiglio comunale di Mosca del 2019 e le legislative del 2021). E ogni volta subisce la repressione durissima dal Cremlino attraverso l’incriminazione di reati vari tra cui corruzione, evasione fiscale, vandalismo, estremismo. Senza contare le numerose censure e le sistematiche e violente aggressioni fisiche da parte di poliziotti e militari.
Nel 2013 si candida alla carica di sindaco alle elezioni comunali di Mosca venendo sostenuto anche dal Partito Repubblicano di Russia e dal Partito della Libertà Popolare. Ottiene il 27,24% (632 697 voti) contro il 51,37% del sindaco ad interim uscente Sergej Sobjanin e non va al ballottaggio. Fa una richiesta di riconsiderare i risultati delle elezioni a causa di presunti brogli. Ma il tribunale rifiuta di soddisfare le sue richieste.
Dal 2013 inizia a essere tra i leader della protesta per strada, mette in discussione la stessa figura di Putin, e il regime lo identifica uno degli obiettivi prioritari contro i quali agire. Numerosi sono gli arresti. Entra e esce dal carcere di Mosca, il Matrosskaya Tishina. Qualche anno dopo Navalny, pur continuando nel suo attivismo politico, che non dà tregua al regime sul fronte della corruzione, subisce il riflesso nazionalista. È il 2014 (in Ucraina c’è la Rivoluzione di Maidan, scoppia la guerra nel Donbass e la Crimea viene annessa alla Federazione russa) e Putin schizza nei sondaggi allorquando riconquista (senza sparare un colpo) la Crimea, la penisola a maggioranza etnica russa, regalata da Krusciov all’Ucraina. La carta patriottica che Putin si gioca gli permette di vedere dalla sua parte il nazionalista, Limonv e soprattutto il filosofo e politologo, ultranazionalista Alexander Dugin che per molti è considerato il mentore politico dello Zar.
Navalny si oppose, nel 2014, all’annessione della Crimea, dichiarando che questa manovra avrebbe portato all’espansione della NATO e a un indebolimento dell’economia del Paese.
Nel 2018 si vede riconosciuti i danni subiti dal Cremlino. Infatti la Corte europea dei diritti dell’uomo condanna la Russia a risarcire Navalny con 50.000 euro per danni morali, 1.025 euro per danni materiali, e 12.653 euro per le spese sostenute per i suoi molteplici arresti subiti sul territorio russo valutati come politici, contro la libertà di espressione e privi di una reale motivazione.
Il 23 dicembre 2016, Navalny, che aveva ottenuto il buon risultato del 27,24% (632.697 voti) alle elezioni per la carica di sindaco a Mosca, annuncia in un video l’intenzione di candidarsi contro Vladimir Putin alle elezioni presidenziali del 2018, ma viene escluso a causa di varie condanne. Putin che lo teme, lo fa mettere nel mirino della polizia e del sistema giudiziario, e per questo Navalny viene messo sotto inchiesta per la sua attività politica, ma anche con accuse di appropriazione indebita. Amnesty International e molti governi filo-occidentali si schierano dalla sua parte, affermando che la causa delle sue condanne sia dovuta unicamente alla stessa opposizione a Putin.
Nel 2018 lo Zar vince facile, perché corre da solo, con oltre il 76% dei voti. Mentre, da quel momento Navalny diventa primo oppositore. Un ruolo che viene favorito non solo dalla rabbia scaturita dal facile arricchimento, ma anche dal malcontento, specie della classe media, che si ritrova impoverita a causa della fine del boom economico che fino ad allora aveva accompagnato la presidenza di Putin grazie ai cospicui proventi derivanti dalla vendita del gas e del petrolio.
Nel 2019 Navalny riesce a far eleggere alla Duma di Mosca candidati alternativi a quelli di Russia Unita, il partito del presidente grazie ad una strategia di voto chiamata “Smart Voting”. L’obiettivo dello Smart Voting, progetto lanciato nel 2018, è quello di sostenere chi si oppone al partito (quello di Putin) che Navalny ha soprannominato il “partito dei truffatori e dei ladri“.
Dalle agenzie di sondaggi considerate affidabili, Navalny, nel lasso di tempo in cui ha espresso la sua candidatura nelle diverse competizioni elettorali, non è stato considerato mai un candidato in grado di poter battere Putin. Lo stesso zar in merito a Navalny in più di una occasione ha lasciato intendere di considerarlo non più che un fastidio. Anche se in realtà Putin ha sempre impedito a Navalny di fare attività politica perché temeva che la sua leadership carismatica potesse conquistare un consenso ampio del popolo russo e mettere così in pericolo il suo potere.
Navalny, nella sua attività contro la corruzione, lancia anche un suo canale YouTube che utilizza per denunciare sempre nuovi scandali che emergono dalle varie organizzazione investigative. La più importante è la Fondazione anti-corruzione (FBK), l’unica organizzazione investigativa senza scopo di lucro in Russia che indaga, rivela e reprime i reati di corruzione nelle più alte autorità (tra cui politici, oligarchi, funzionari e propagandisti russi). FBK è stata fondata nel 2011 da Alexei Navalny. Da allora, la fondazione ha pubblicato centinaia di indagini, esaminato migliaia di appalti pubblici e risparmiato miliardi di rubli di bilancio. Tra le indagini più celebri che hanno scosso il popolo russo dando al contempo notorietà a Navalny sono:
nel 2017: “On vam ne Dimon” (“Lui per voi non è un Dimon/Dima”), un filmato-indagine sull’ex Presidente delle Federazione russa Dmitrij Medvedev, che mostra di aver trovato sul suo conto miliardi non comunicati (illegittimi, secondo Navalny), tre palazzi privati, vigne e varie case sia in Russia che all’estero. La pubblicazione del film ha determinato un forte calo di popolarità di Medvedev fino alle dimissioni del 2020;
nel 2020: “Putin’s Palace: The Story of the World’s Largest Bribe” (“Il palazzo di Putin: La storia della più grande tangente del mondo”); un’indagine che sosteneva che Putin si fosse fatto costruire un gigantesco e lussuosissimo palazzo sulla costa del Mar Nero, costato 1,3 miliardi di dollari e finanziato almeno in parte con fondi illeciti (vedi paragrafo precedente).
Nel 2020, ha fatto una grande campagna contro il referendum costituzionale del 1° luglio – che modifica la legge costituzionale che fissa a due il limite dei mandati per le presidenziali – definendolo un colpo di Stato e affermando che il referendum avrebbe consentito a Putin di governare fino al 2036, dunque a vita.
Nel giugno dello stesso anno il suo partito ha parlato a sostegno delle proteste contro il razzismo negli Usa di Black Lives Matter.
È storia nota quello che succede dopo la metà del 2020. Navalny che subisce l’avvelenamento con il Novichok per mano dei servizi segreti che intendono eliminarlo (era il 20 agosto 2020), l’atterraggio di emergenza a Omsk che gli salva la vita, il trasferimento in Germania, che dopo averlo curato dal coma in cui era precipitato a causa dell’avvelenamento, gli offre rifugio, il rifiuto di restare e il ritorno in Russia nel gennaio del 2021, il lancio su YouTube del video “Il palazzo di Putin” che fa scuotere le stanze del Cremlino, e l’arresto che lui si aspettava appena avesse rimesso piede nella sua patria. Infine, la condanna, il carcere non troppo lontano da Mosca dove trascorre più di due anni, e dove continua a mantenere la comunicazione con la sua Fondazione anti-corruzione e con il mondo. Tra le altre cose, condannò duramente l’invasione russa dell’Ucraina.
Il 7 dicembre 2023, poco prima del suo ultimo trasferimento forzato, Navalny avvia la campagna contro la rielezione di Putin nelle elezioni presidenziali in Russia del 2024. Con grande probabilità, è stata questa la ragione per cui Navalny è stato poco dopo trasferito nel “gulag” siberiano “Lupo Polare”, così isolato che da impedire le comunicazioni con l’esterno. Poi arriva la morte che ha i connotati di un omicidio politico.
Il 16 febbraio 2024, il servizio carcerario russo ha comunicato che Navalny è morto.
Il 26 febbraio dopo la restituzione del corpo di Navalny, e in attesa di un addio pubblico, che potrebbe scatenare proteste sull’intero territorio degli undici fusi orari, emergono nuove e sconvolgenti rivelazioni.
Navalny poteva essere liberato
Navalny doveva essere liberato in cambio di un ufficiale russo. Tale operazione doveva svolgersi nell’ambito di uno scambio di prigionieri con gli USA e la Germania. Lo conferma Maria Pevchikh, dirigente della Fondazione anti-corruzione (FBK) creata da Navalny. L’accordo era arrivato alla fase finale dopo due anni di trattative e la proposta definitiva era stata consegnata a Putin da Roman Abramovich. Sempre secondo Pevchikh, Putin avrebbe però deciso di uccidere Navalny, che riteneva troppo pericoloso, e ha accusato funzionari americani e tedeschi di avere fatto ritardare il possibile scambio a causa della loro passività. Ha aggiunto che il team dell’oppositore ha cercato, anche se invano, l’aiuto di influenti “amici di Putin”, tra cui Henry Kissinger.
Qual è il messaggio che Navalny ci ha lasciato?
Navalny, non era un santo, ma ha vissuto ed è morto da eroe. Era un nazionalista russo con tante idee discutibili, e dunque aveva i suoi scheletri nell’armadio. Era un patriota, ma a differenza di Putin, voleva il bene del suo paese. Per questo ha messo a repentaglio la sua vita innanzitutto, quella dei suoi cari, e tutto il suo patrimonio, non solo durante il suo attivismo politico, ma anche quando dopo essere stato curato in Germania in seguito all’avvelenamento, ha preferito andare incontro al suo destino: tornare in Russia per combattere e morire (da eroe) se necessario, piuttosto che fare opposizione dall’estero e vivere in esilio.
Ha sacrificato la sua vita per denunciare la corruzione del Cremlino, per difendere il pluralismo politico, l’opposizione, e le elezioni libere ed eque in Russia. Insomma valori democratici e di libertà.
La morte di Navalny rappresenta la fine di ogni illusione che iniziava ad albergare in tante coscienze russe, di poter trasformare in democrazia un’autocrazia.
Navalny è stato un uomo coraggioso, una potente voce della verità, una icona di lotta in un regime autoritario e spietato, quello del cerchio magico di Putin, che, dotato di un potere verticale, non ammette alcuna forma di democrazia e di libertà.
«Se mi uccideranno, non arrendetevi» (Aleksej Navalny ai russi)
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